venerdì 8 giugno 2012

Primarie e “mandati”. Non c’è pace per Bersani

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OGGI LA DIREZIONE NAZIONALE DEL PARTITO. E DOPO TANTI CAMINETTI QUESTA VOLTA È A PORTE APERTE

Nello staff del segretario quella di oggi la presentano come la direzione della “svolta” per il paese. Espressione enfatica per presentare il fatto che Bersani si candiderà ufficialmente a premier: sono giorni, infatti, che lo annuncia, anche per disinnescare l’outing di Fassina e Orfini, i giovani della segreteria che hanno chiesto il voto a ottobre.

La vera svolta, però, sarà il fatto che per la prima volta da tempo immemore, i giornalisti potranno seguire il dibattito. Seppure non direttamente, ma da una tv a circuito chiuso. Questa volta il segretario vuole evitare che ci siano veline, fughe di notizie, retroscena. Bersani dunque annuncerà le primarie, anche se ancora non ha scoperto tutte le carte: saranno di coalizione? Sembra questa l’intenzione. E per di più il segretario non sarebbe intenzionato ad attaccarsi allo Statuto per impedire la partecipazione di altri membri del partito. A cominciare da Matteo Renzi che sono mesi che le chiede, ma che ieri ha fatto sapere che non parlerà in direzione (“Mi candido solo se sono vere”, ha dichiarato, riservandosi l’annuncio solenne in una situazione per lui mediaticamente più conveniente). In una riunione di ieri mattina tra Bersani, Rosy Bindi, Enrico Letta e Dario Franceschini la questione non è andata liscia: c’è chi pensa che primarie aperte siano troppo rischiose.

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E in effetti, come dargli torto visto come’è andata a Genova (con le due piddine detronizzate da Marco Doria) e a Palermo (dove sono finite tra brogli, accuse e la sconfitta di Rita Borsellino, candidata di Bersani)?

La decisione finale potrebbe essere rimandata all’Assemblea del 6 luglio. Un travaglio che potrebbe rivelarsi inutile se alla fine il potere di Monti si rivelerà così debole da andare ad elezioni anticipate. Le primarie vere incutono timore, perché spostano gli equilibri di potere interno. E non sono l’unico incubo. Pippo Civati, rottamatore prima con Renzi e ora in proprio, è intenzionato a ripresentare un ordine del giorno in cui chiede tre cose: primarie per il leader, primarie per i parlamentari e rispetto del limite dei 3 mandati parlamentari. Quel limite che lo Statuto prevede nero su bianco ma continuamente disatteso tra deroghe ed eccezioni. In tutto, sono 35 gli onorevoli Pd fuori statuto, ai quali andrebbero aggiunti altri 59 non ricandidabili, in quanto stanno svolgendo il loro terzo mandato. Il record, con ben 7 legislature, ce l’hanno Massimo D’Alema, Anna Finocchiaro e Livia Turco. Bontà sua, il Lìder Maximo avrebbe fatto sapere (come scriveva ieri il Corriere della Sera) di non essere intenzionato a ricandidarsi, volendo dare così prova della sua personale spinta al rinnovamento. Alla buonora. Fuori statuto, i big sono molti: con 6 legislature troviamo Franco Marini, Walter Veltroni, Anna Serafini (moglie di Piero Fassino), Giovanna Melandri. Con 5, ci sono, tra gli altri, Rosy Bindi, Pierluigi Castagnetti e pure Antonello Soro, fresco di nomina all’Authority per la privacy. A quota 4 sono in 21, tra cui Beppe Fioroni e Arturo Parisi. Tra i 59 che in teoria dovrebbero essere all’ultimo mandato c’è lo stesso Bersani, e poi Dario Franceschini, Paolo Gentiloni, Enrico Letta. “Sono due anni che presentiamo questo ordine del giorno a ogni assemblea di partito. E se non si vota in direzione, sono disposto ad accettare che si faccia alla prossima Assemblea, il 6 luglio. Ma sono tutti punti irrinunciabili”. Altrimenti? Liberi tutti. Ovvero la lista civica (che oggi Bersani pare intenzionato a ribadire in direzione, nonostante l’anatema di D’Alema che le ha accusate di “impoverire la democrazia”) “potrebbero votarla anche i miei parenti”, ha detto Civati.

Wanda Marra - 08 giugno 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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