mercoledì 27 febbraio 2013

Perché Bersani ha sbagliato tintoria (di Oliviero Beha)


Se non fossimo immersi nel naufragio di un Paese intiero, ci si dovrebbe rallegrare di vivere tempi così interessanti... Pensate, in pochi giorni le dimissioni di un Papa e Beppe Grillo al Quirinale per le consultazioni di rito, strameritate sul campo di battaglia elettorale. Il campo di Agramante doveva essere quello di Berlusconi e in un lampo è diventato quello di Bersani.
Ci si chiede come sia stato possibile, e come casi analoghi si ripetano da quasi vent’anni. Dice: l’Italia è un paese fondamentalmente moderato, che teme gli sconquassi della sinistra. Ma forse tale lettura aveva un senso quando c’era ancora una sinistra, nelle cose e non solo nelle parole, nei comportamenti e negli obiettivi e non quasi esclusivamente nelle ridondanze onomatopeiche. Una volta aveva un senso battersi per una sinistra in politica, nella visione del mondo, nel rapporto con gli altri, nella vita insomma. Le persone o le comunità potevano
sentirsi di sinistra sia nella dimensione prepolitica che in quella politico-partitica in opposizione a chi – nel modo più che legittimo – si autocollocava a destra. Ma oggi? Oggi se chiedi, a chi con sussiego e spesso con pesantezza ti obietta “ma io sono di sinistra” di fronte alle nefandezze degli altri da lui, in che cosa consista nelle azioni e nelle scelte “essere di sinistra” e in che cosa tutto ciò si distingua dai comportamenti di chi si autoschiaffa nella destra fai spessissimo delle esperienze deludenti. Sì, “sono” e “dicono” di sinistra ma “fanno” esattamente come quelli di destra o sedicente tale. E allora che c’entrano più la sinistra e la destra? Perché Bersani, che è notoriamente perbene anche se temo non possa mettere la mano sul fuoco per nessuno del suo partito, mentre Berlusconi è notoriamente per male ma se ne frega di come sono i suoi, perde anche quando vince? E perché di una campagna elettorale atroce si ricorda del segretario quasi solo la battuta da tintoria sul giaguaro da smacchiare?

Forse Bersani perde anche quando vince o vincerebbe perché non ha più identità, lui e qualunque idea di sinistra che rappresenti. Esattamente come gli affari di Berlusconi hanno riassunto una idea convenzionale di destra evaporata se affidata a un partito senza il suo leader, come il Pdl di Alfano di tre mesi fa. C’è come un cellophane che abbia chiuso in una confezione sterilizzata e perversa tutta la politica politicante fino a qui, in cui in realtà non vince davvero e non perde davvero mai nessuno: sopravvivono nella loro complementarietà priva di identità. Solo che la mancanza di identità svuotando entrambe lascia una patina superficiale in cui l’uomo senza qualità né ideologie né memoria si muove assai più a suo agio di chi ha invece nel suo Dna una storia differente. E Bersani perde, e Berlusconi vince. O meglio sta perdendo assieme all’avversario e al Paese sprofondato. In questa tragicommedia, il nemico additato è Grillo, perché percepito nitidamente come “diverso da loro” ontologicamente.
Se così è a occhio non li aspetta una bella fine…

Oliviero Beha - 27 febbraio 2013 -
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