mercoledì 20 febbraio 2013

Meno male che Adriano c’è (di Marco Travaglio)


A parte Ingroia, per la sua benedetta deformazione professionale, nessuno dei leader in lizza sembra cogliere l’importanza cruciale, decisiva, drammatica della corruzione che si è mangiata l’Italia. Una corruzione molto più grave e diffusa di questo o quel caso di tangenti che emerge dalle indagini giudiziarie.
Una corruzione che s’è fatta ambiente, atmosfera e ha contagiato ogni angolo della vita
pubblica, e anche privata. Finmeccanica, colosso pubblico da 70 mila dipendenti, controllato in tutto e per tutto dalla politica, ha cambiato due presidenti in un anno: l’inquisito Guarguaglini e l’arrestato Orsi. Ma dovrebbe cambiare anche il terzo, l’attuale, Pansa, beccato a chiedere a Mediobanca (quand’era direttore finanziario del gruppo) un prestito di 500 mila euro per la prima moglie del ministro del Tesoro Grilli, cioè l’azionista della sua
azienda, che poi l’ha nominato presidente. In una imbarazzante telefonata col nostro Lillo, Pansa ha prima colto in pieno la gravità della sua condotta: “Se scrivete questa cosa, dovrò trarne le conseguenze”. Cioè dimettersi (“Cos’altro dovrei fare?”). Poi, ripensandoci o parlandone con qualcuno, ha capito che c’è chi resta al suo posto per molto peggio, dunque un’ora dopo ha richiamato: “Fu una cortesia a titolo personale, di amicizia, non come Finmeccanica”. Quindi non se ne va. E naturalmente il governo non gli chiede di sloggiare, anche perché dovrebbe chiederglielo Grilli. O qualcuno dei partiti che sostengono il governo e delle aziende pubbliche han sempre fatto carne di porco. Da Roma a Siena: salta fuori un documento in cui il coordinatore nazionale del Pdl, il plurinquisito Verdini, e l’allora sindaco Pd di Siena, Ceccuzzi, si spartivano le cariche del Montepaschi come del cortile di casa loro. Serve altro per spiegare come mai nessuno, né a destra né a sinistra, aveva mai osato obiettare alcunché sulle malversazioni del Monte dei Pascoli? Pascolavano tutti insieme.

Da Mps a La7, tv privata di un’azienda privata (Telecom): due amici di B., Sposito e Cairo, presentano offerte per acquistarla, ovviamente a costo quasi zero  (Telecom darà un aiutino di 100 milioni a chi se la prende), in un groviglio di conflitti d’interessi da paura. Poi, in extremis, si fa avanti un imprenditore apolitico, Della Valle. Elementari ragioni imprenditoriali suggerirebbero di  fermare le bocce, lasciar passare le elezioni e intanto andare a vedere quanto offre (anche perché meno degli altri due sarebbe impossibile). Invece il Cda Telecom si spacca, ma prevalgono gli amici di B., che chiudono tutto in fretta e furia e regalano la tv a Cairo. Che così mette in cassaforte il suo vantaggiosissimo contratto di concessionario pubblicitario della stessa La7. E B. addomestica l’unico concorrente che lo infastidiva. Gli dà una mano Bersani, che mette il cappello su Della Valle politicizzando un’operazione che politica non era, e non si capisce a che titolo: a meno che non abbia nostalgia per i bei tempi in cui Palazzo Chigi era “una merchant bank dove non si parla inglese” (copyright Guido Rossi) e D’Alema e Bersani sponsorizzavano i “capitani coraggiosi” senza capitali che acquistavano Telecom a debito. Tutto ciò è considerato normale, in un Paese dominato da una corruzione culturale, mentale, linguistica prima che penale. Ci voleva giusto un cantante e showman, “il re degli ignoranti” Celentano, per dipingere nel suo nuovo brano inedito quest’Italia “ormai ridotta a una lastra di cemento, come una coltre funebre sulla quale si annidano le polveri sottili della corruzione. E i politici parlano di maggioranza”. Ma anche per invitarci all’unico vero voto utile: “Se non voti ti fai del male, se non voti non cambia niente, se non voti ritornano ancora... I politici non si accorgono che, quando la bellezza morirà, loro saranno i primi a sprofondare”. Magari. Meno male che Adriano c’è.

Marco Travaglio - 20 febbraio 2013 -
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