sabato 2 febbraio 2013

Brusca: "Il nostro papello era per Mancino"


TRATTATIVA, L’EX MINISTRO REPLICA SUBITO: “NON HO MAI RICEVUTO ALCUNA RICHIESTA DI ALLEGGERIMENTO DEL CONTRASTO ALLA MAFIA”

Il destinatario finale del papello era Nicola Mancino”. Parola del pentito Giovanni Brusca che ieri, a Rebibbia, nell’udienza preliminare del processo per la trattativa mafia-Stato, ha ribadito quello che la commissione parlamentare antimafia ha voluto a tutti i costi ignorare: il dialogo
tra le cosche e le istituzioni tra il ’92 e il ’93 ebbe un garante “politico” all’interno del governo. E quel garante, ha detto Brusca, era il titolare del Viminale, a lui era destinato il documento con le richieste rivolte dal boss Totò Riina allo Stato per fermare le stragi.

Mancino, presente a Rebibbia, ancora una volta ha negato tutto: “Non ho mai ricevuto, da parte di chicchessia, alcuna richiesta di alleggerimento del contrasto alla mafia, che fu senza quartiere da parte dello Stato”.

Nicola Mancino
Ma ieri è stata la giornata di Brusca che ha parlato per ore e, rispondendo alle domande del gup Piergiorgio Morosini, ha riversato in aula tutta la “sua” verità sulla trattativa e sul papello, partendo da lontano, da quando, cioè, dopo il pentimento di Buscetta, il sette volte presidente del Consiglio Giulio Andreotti avrebbe fatto “un passo indietro” con Cosa nostra, sostenendo che con “l’omicidio Lima si voleva colpire politicamente Andreotti”.

Non solo Lima, ma anche Vizzini e Mannino tra le vittime designate da Cosa Nostra e, per la prima volta, anche un pentito, Gioacchino La Barbera, che i boss avrebbero voluto morto. E parlando poi del papello, Brusca ha ribadito che l’elenco delle richieste, stilato da Riina, fu affidato a Vito Ciancimino, così incrociando le dichiarazioni del figlio di quest’ultimo, Massimo, che all’inizio della sua testimonianza spiegò come l’ex sindaco mafioso, incontrando gli ufficiali del Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno, avesse chiesto una garanzia istituzionale alla trattativa, pretendendo proprio l’avallo di Mancino, che era ministro dell’Interno. Ecco perché Brusca ha sempre detto che “la sinistra sapeva” del negoziato tra Stato e mafia.

Per “sinistra”, insomma, il collaboratore intendeva la sinistra Dc, ovvero la  corrente di Mancino, ma anche di Calogero Mannino, considerato dai pm di Palermo l’ispiratore della trattativa, e di Giuseppe Gargani (indagato per false dichiarazioni al pm nell’inchiesta sul dialogo Stato-mafia), l’uomo che voleva sostituire Claudio Martelli al ministero della Giustizia e che per questo motivo nel ’92 si offrì a Bettino Craxi, promettendo di ostacolare le indagini di Mani Pulite. “Io non ho mai parlato di Luciano Violante”, ha quindi specificato Brusca, sostenendo di non aver “mai fatto” il nome dell’ex presidente della Camera e della commissione parlamentare Antimafia. E, per dimostrare di non aver mai puntato il dito contro Violante, il pentito ha prodotto in aula il verbale di un suo interrogatorio del 28 agosto 1996. Nel corso della lunga deposizione a Rebibbia, Brusca ha ricostruito ieri la storia del papello, confermando che Riina gli avrebbe parlato dell’elenco di richieste allo Stato “dopo la strage di Capaci e prima della strage di via D’Amelio”.

L’ex boss di San Giuseppe Jato, parlando per ore, ha ricordato l’arresto di Riina, rivelando di aver avuto il dubbio “che a farlo arrestare non fosse stato solo” il collaboratore Balduccio Di Maggio. Poi ha riferito che lo stesso Riina rimproverava a Provenzano di essere troppo accondiscendente con Ciancimino: “Quei due – ha detto – avevano un rapporto privilegiato”.

Infine, Brusca ha parlato dell’uccisione di Salvo Lima, delitto che, secondo la ricostruzione della procura, aprì la strategia di sangue e terrorizzò la classe politica, costringendola a cercare un dialogo con i boss. E sulle elezioni  dell’aprile ’92, ha spiegato al gup che i boss non avevano “preferenze politiche: volevamo solo distruggere la corrente andreottiana”.

Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza
02 febbraio 2013 -
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