lunedì 3 dicembre 2012

Renzi, Bersani e l’equivoco dell’innovazione (di Emilio Carnevali)


Pier Luigi Bersani ha vinto nettamente il ballottaggio delle primarie del centrosinistra. Ma non è vero che la sfida dell'innovazione, incarnata da Matteo Renzi, è stata sconfitta dal potere rassicurante della tradizione. È ormai da un po' di tempo, infatti, che si fa una certa confusione su che cosa significa essere “innovativi” in politica.

Mettiamola così: avendo 4 anni in meno di Matteo Renzi (lui classe 1975, io classe 1979)
credo di potermi districare fra le categorie vecchie/nuovo, innovazione/conservazione senza prestare il fianco all'accusa di essere troppo anziano per comprendere un mondo profondamente cambiato dai “bei tempi andati” in cui ero giovane io.
Sarà che il primo “politico” di cui ho una memoria abbastanza nitida è Silvio Berlusconi, ma nell'ancora breve tratto del mio interessamento alle vicende pubbliche ho imparato ad essere abbastanza diffidente quando si parla in modo assai generico di “innovazione”.

Il caso più recente di sollecitazione in questa direzione sono state le parole di Mario Monti sulla non sostenibilità del nostro servizio sanitario nazionale pubblico. Il Sole 24 Ore ha tradotto con grande chiarezza in che cosa consisterebbe, nel concreto, il “progresso” evocata da Presidente del Consiglio: «Far crescere la galassia italiana dei fondi integrativi, il cosiddetto secondo pilastro dell'assistenza sanitaria. Ma anche raggranellare altri 2 miliardi dai nuovi ticket con franchigia annessa per fasce di reddito, che dovrebbero decollare nel 2014 scaricando altri 2 miliardi sui cittadini. E poi, chissà, già dal prossimo anno il rischio sempre più concreto dei tagli ai Lea: le prestazioni oggi gratuite o quasi, che domani potremmo pagarci di tasca nostra».

Pare che attualmente, in Europa, “innovazione” coincida con “riforme strutturali”, che a loro volta coincidono con tagli, tagli e ancora tagli. Questa è la sola via di uscita dalla crisi che si è in grado di immaginare. Io non so se il Fondo Monetario Internazionale possa essere annoverato fra gli innovatori o fra i conservatori. So che nel suo ultimo World Economic Outlook (ottobre 2012) ha ammesso ciò che da tempo vanno sostenendo tanti “economisti critici”. E cioè che «gli attuali sviluppi suggeriscono che i moltiplicatori fiscali di breve termine potrebbero essere stati molto più ampi di quanto previsto in corso di progettazione della manovra fiscale» in tutti i Paesi che hanno proceduto con politiche di austerità. In sostanza sono stati sottostimati gli effetti che i tagli avrebbero avuto sull'economia (i moltiplicatori servono a “trasformare” le variazioni della spesa pubblica in stime di variazioni – negative – del Prodotto Interno Lordo. Si pensava moltiplicassero ogni euro di spesa per 0,5, lo moltiplicavano in realtà per 1,2). Di conseguenza anche il sentiero di risanamento delle finanze pubbliche è stato tracciato su mappe che nulla avevano a che fare con la realtà delle cose. Insomma, ricette sbagliate stanno creando danni enormi. E ancor prima di vedere i calcoli di Olivier Blanchard (capo economista del Fmi) era sufficiente gettare un occhio sulla tragedia greca per capire che c'è qualcosa che non va nella “medicina” somministrata al Sud europeo e nelle cosiddette riforme che ad esse si accompagnano. Ecco perché l'Europa avrebbe bisogno di una vera innovazione delle politiche economiche sin qui perseguite.

Cosa c'entra tutto questo con il duello Renzi-Bersani? Apparentemente non molto, perché a prescindere da chi ha vinto le primarie e da come sarà composto il prossimo governo italiano, la situazione in Europa rimarrà sostanzialmente in stallo almeno fino alle prossime elezioni tedesche, previste per l'autunno 2013. Che le cose siano così ce lo ha mostrato il vertice dell'Eurogruppo della settimana scorsa. Tutti sanno perfettamente che nessuna soluzione realistica della questione greca – e dunque della crisi europea – potrà prescindere da una vera ristrutturazione del suo gigantesco debito (ora detenuto quasi tutto in mani pubbliche e in viaggio verso il 190% del Pil nel 2013). Eppure la Germania ha scelto di prendere tempo con una “misura tampone”: si è in pratica rinviato al dopo elezioni un taglio del valore nominale del debito ellenico che anche il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble, incalzato dal leader socialdemocratico Steinmeier, ha fatto capire essere inevitabile (“ma non diciamolo subito ai cittadini tedeschi che se no perdiamo le elezioni”, era il sottotesto delle sue ambigue dichiarazioni).

Dicevamo che apparentemente tutto questo c'entra poco con il duello Renzi-Bersani. Apparentemente. In realtà lo sguardo sulla dimensione europea della crisi ci fa capire quanto le categorie innovazione/conservazione siano inappropriate quando servono solo a valorizzare il “tasso di liberismo”, di deregolamentazione o di austerità contenuto in un insieme di ricette economiche. Ribaltando il punto di vista io credo che la classifica in termini di innovazione in queste primarie del centrosinistra fosse Vendola, Puppato, Bersani, Renzi/Tabacci, e non posso dunque che rallegrarmi, da “giovane elettore”, della vittoria di Bersani nel secondo turno. Per quanto tiepido possa essere questo moto di soddisfazione, visti i vincoli di contesto (dentro e fuori il suo partito) con cui il neocandidato premier dovrà fare i conti.

Una cosa è certa: a trattare in Europa è meglio ci sia un socialista europeo molto moderato piuttosto che un brillante sindaco il cui “guru economico”, negli Stati Uniti, ha fatto l'endorsement per Mitt Romney.
Se poi si vuole procedere con un'analisi più “terra terra”, ci si potrebbe divertire non poco a fare pulizia di un po' di luoghi comuni e formule giornalistiche che durante la campagna elettorale, e dopo il primo turno, hanno avuto non poco successo: non solo “il giovane” contro “il vecchio”, ma, cucinate in varie salse, la freschezza delle idee contro la potenza dell'apparato, il voto d'opinione contro quello di appartenenza, l'ebrezza della novità contro la sonnecchiante sicurezza della tradizione.

Al primo turno Matteo Renzi ha vinto in quasi tutte le cosiddette “regioni rosse” (Toscana, Umbria, Marche, con l'eccezione dell'Emilia Romagna), proprio quelle in cui l'apparato e il radicamento del Pd è più forte. E fin dal primo turno Pier Luigi Bersani ha vinto in quasi tutte le grandi città, dove è ovviamente più forte il voto di opinione. Sono andate al segretario del Pd Milano, Torino, Genova, Bologna, Venezia, Roma, Napoli, Palermo. Renzi ha vinto a Firenze, città della quale è sindaco, e Vendola a Bari, capoluogo della Regione di cui è governatore. Al ballottaggio la vittoria di Bersani è stata ancor più netta, dato che ha conquistato anche Bari, staccando il suo sfidante di circa 20 punti sull'intero territorio nazionale.

Secondo uno studio condotto dall'Istituto Cattaneo di Bologna (condotto sui dati del primo turno) «le primarie del 2012 hanno avuto un effetto moltiplicatore e di ampliamento dei confini solitamente riservati ai militanti. Il numero dei cittadini che si è recato alle urne è stato di 3,6 volte superiore al numero di iscritti al Pd. Valori decisamente superiori alla media si sono avuti nelle regioni settentrionali (Lombardia 9,0; Trentino Alto Adige 8,0; Piemonte 7,9; Veneto e Liguria 5, 8)». In tutte queste regioni, che sono per altro quelle più ricche e dinamiche dal punto di vista economico, ha vinto Bersani sia al primo che al secondo turno.
Con questo non si vuole negare una caratteristica importante di Renzi, cioè quella di esser capace di pescare dal bacino esterno al centrosinistra (viene da “fuori”, secondo uno studio della Società Italiana di Scienza Politica, il 16% del suo elettorato del primo turno; del resto anche alle primarie per la carica a sindaco di Firenze un decimo degli elettori di Renzi aveva votato, in precedenza, centrodestra). Solamente si intende introdurre un maggiore equilibrio dentro un dibattito spesso dominato da leggende metropolitane e letture non fondate sui numeri.

Due parole conclusive sullo sconfitto: è stato molto bravo, complimenti. È stato coraggioso, ha fatto una campagna elettorale appassionata, senza compromessi, dura come devono essere le campagne “vere” (diversamente da quelle “finte” delle primarie precedenti, dove il vincitore era scontato e già scritto).
Dissento da molte sue idee: da alcune tesi economiche all'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Concordo pienamente su altre: dalla spinta ad un grande ricambio – generazionale e non solo – nella classe politica, alla necessità di rendere più efficiente la pubblica amministrazione. E sono per il “dipende da come” su altre ancora: è vero che su tante categorie di cittadini la pressione fiscale è troppo elevata; ma su alcune categorie – e alcune basi imponibili – io addirittura la aumenterei.
Ma – come si dice – “onore delle armi” a Renzi, il quale ha contribuito a “costituzionalizzare” e portare dentro un percorso di partecipazione politica costruttiva pulsioni antipolitiche che avevano di fronte a loro alternative ben peggiori.

Ed è proprio dentro il “paradosso dell'antipolitica” che possiamo leggere il risultato consegnatoci da queste primarie, il quale anticipa, almeno in parte, quello delle prossime elezioni generali del 2013. Il sistema politico ne uscirà sconvolto: vecchie forze saranno spazzate via, nuovi protagonisti si affermeranno, un esercito di giovani del Movimento 5 stelle entrerà in Parlamento per la prima volta.
Nessun ricambio paragonabile a quello che sta avvenendo nella classe politica – grazie ad un meccanismo molto antico e rudimentale che si chiama democrazia – avverrà, ad esempio, nel mondo delle imprese, delle università, dei media, ecc. Insomma, in tutta quella galassia vaga denominata “società civile” e spesso contrapposta, nella sua virtù, al marciume della politica. Lì continuerà a comandare la classe dirigente più anziana d'Europa, quella che ha la responsabilità – fra le altre cose, per tornare su terreni prosaicamente “economicisti” – dei livelli infimi di incremento della produttività della nostra economia e di un declino cominciato ben prima della recente crisi. Ma, si sa, nelle aziende non esistono primarie.

Emilio Carnevali - 3 dicembre 2012 -
micromega
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