sabato 20 ottobre 2012

“Pervertion file”: gli abusi tra i boy scout (di Alessandro Oppes)


14.500 PAGINE ACCUSANO 1.247 RAPPRESENTANTI DELL’ASSOCIAZIONE STATUNITENSE

Scritta in rosso, in grande evidenza sotto il nome dell'organizzazione, nel logo dei Boy Scouts of America compare la dicitura “Youth Protection”, protezione della gioventù. Uno slogan all'improvviso smentito, e trasformato in imbarazzante contraddizione, dalla
pubblicazione delle 14.500 pagine dei cosiddetti “Pervertion File”: migliaia di documenti che identificano almeno 1247 sospetti pedofili tra i leader del movimento e i volontari, che avrebbero commesso abusi sessuali su bambini e adolescenti tra il 1965 e l'85. Decenni di molestie sui minori occultate e coperte intenzionalmente, nell'ipocrita tentativo di difendere il “buon nome” dell'organizzazione.

Tom Stewart vittima di abusi
Ma alla fine, dopo aver cercato in tutti i modi di mantenere la segretezza dei loro archivi, gli Scouts sono stati costretti a cedere in seguito a una sentenza del Tribunale Supremo dell'Oregon e il voluminoso dossier è stato messo a disposizione del pubblico da uno studio legale di Portland. La scintilla che ha provocato l'esplosione dello scandalo è stato un processo al termine del quale, due anni fa, l'organizzazione venne condannata per la prima volta da un tribunale federale statunitense a pagare una multa di quasi 20 milioni di dollari a una vittima - Kerry Lewis - per aver “coperto e protetto"” un ex assistente scout-master responsabile di un caso di abusi sessuali a metà degli anni Ottanta. Una storia clamorosa per la sua gravità. Pedofilo dichiarato, confidandosi con un pastore mormone, Temur Dykes aveva ammesso di aver molestato almeno 17 scout già diversi mesi prima di costringere Lewis, allora adolescente, ad avere rapporti sessuali. Nessuno intervenne per evitare che tornasse in contatto con i minori, nonostante la sua evidente pericolosità sociale. Dykes, in seguito, è stato arrestato in tre occasioni e condannato a 18 anni di carcere.

Già in occasione del processo del 2010, gli Scouts dovettero mettere a disposizione del tribunale di Portland i loro archivi, ma poi continuarono a impedirme la divulgazione. Una scelta aspramente criticata dalla stampa Usa, con il New York Times in prima fila, perché considerata una violazione del primo emendamento della Costituzione, che difende il diritto alla libertà d'informazione e di espressione. Messa alle corde dalla sentenza della Corte Suprema dell'Oregon, l'organizzazione ha ceduto. E non ha potuto fare a meno di riconoscere in parte le proprie colpe, presentando le “più profonde scuse alle vittime e alle loro famiglie”.

In un messaggio diffuso sul web, il presidente nazionale dei Boy Scouts, Wayne Perry, ammette che “in certi casi, i nostri sforzi per proteggere la gioventù sono stati insufficienti, inappropriati o sbagliati”.

In realtà, più che insufficienti, dai documenti risulta che spesso sono stati completamente assenti, e i casi di pedofilia sono stati occultati o insabbiati. Un esempio fra i tanti. Nel 1965, una madre si presenta nell'ufficio di uno sceriffo della Louisiana per denunciare le violenze subite da uno dei suoi figli e le molestie alle quali venivano sottoposti gli altri due. Lo scoutmaster accusato, un giovane di 31 anni, confessa tutto davanti allo sceriffo. Ma il caso viene subito insabbiato per non mettere a repentaglio l'onore dell'organizzazione. E un altro capo scout, Floyd Slusher, del Colorado, continuò per anni a commettere abusi su minori e a minacciarli di morte, nonostante fosse già stato scoperto e messo sotto inchiesta in Germania.

Alessandro Oppes - 20 ottobre 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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