mercoledì 3 ottobre 2012

La Corte dei conti boccia Monti: “Il prof non ha capito la crisi”


INUTILE RIGORE

Mario Monti e i suoi dante causa dell’Unione europea non hanno capito di cosa si nutre questa crisi e stanno uccidendo l’Italia (e gli altri paesi periferici) facendo politiche recessive che nessuno gli ha chiesto. Questo è il riassunto dell’audizione del presidente della Corte dei
conti, Luigi Giampaolino, ieri in Parlamento sulla nota di aggiornamento al Def, quella in cui il governo ammette che il nostro presente e il nostro futuro si chiamano recessione. È un intervento tanto tradizionale nei toni, quanto potente nella sostanza per chi voglia leggerla: non si tratta più della sola denuncia dell’alta pressione fiscale o dei rischi di avvitamento connessi alle politiche del rigore – che la magistratura contabile segnala da anni – ma di un passaggio ulteriore, più dirompente. Dal luglio 2011 a oggi i governi Berlusconi e, soprattutto,
Silvio Berlusconi e Mario Monti
Monti hanno bruciato due punti e mezzo di crescita (mentre le famose riforme strutturali non porteranno “neanche all’un per cento” di maggiore ricchezza) sostenendo che i mercati volevano il pareggio di bilancio subito ed erano preoccupati dal debito pubblico troppo alto: “Senza quelle manovre recessive avremmo fatto la fine della Grecia”, ha sostenuto ancora qualche giorno fa il ministro Grilli. Falso, mette a verbale Giampaolino: “Mercati e autorità europee leggono la crisi e le prospettive dell’euro in maniera divergente: la Ue ponendo al centro della strategia il rigido controllo delle finanze pubbliche dei paesi in difficoltà e considerando debito e deficit pubblici la causa principale della crisi dell’euro; i mercati, invece, attribuendo un peso maggiore ai fattori di vulnerabilità di un insieme di paesi privi di una reale convergenza economica e di una vera unione politica”. Riassunto: “Austerità e rigore”, senza solidarietà tra i paesi membri dell’Unione, sono “una terapia molto costosa e inefficace e che, neppure, offre certezze circa il definitivo allentamento delle tensioni finanziarie”. A essere messo in discussione dall’organo istituzionale che controlla il bilancio dello Stato, insomma, non è solo la politica economica di Monti e soci, ma tutto il loro racconto della crisi nell’Eurozona.

Certo, Giampaolino elenca altri dati importanti quanto risaputi: la pressione fiscale oltre il 45% che uccide il sistema economico, il calo delle entrate bilanciato (ma non pareggiato) con l’aumento dell’imposizione, il crollo (ché caduta non rende l’idea) di redditi, consumi e investimenti, la ricchezza nazionale ancora inferiore di quasi cinque punti a quella pre-crisi. La Corte segnala anche il rischio che una revisione della spesa fatta senza ridisegnare il perimetro dell’intervento pubblico finisca per tagliare, “come nel recente passato, solo sugli investimenti pubblici o sui livelli dei servizi resi ai cittadini”. Il fulcro dell’intervento, però, continua ad essere un circostanziato atto d’accusa sull’intero racconto delle difficoltà dell’Eurozona fatto dal governo tecnico (e dalla maggior parte degli economisti e degli organi di stampa, peraltro). Se il ministro Grilli, presentando i dati sulla flessione del Pil quest’anno e il prossimo, aveva volentieri scaricato le responsabilità sul contesto mondiale peggiorato, Giampaolino si preoccupa di smentirlo: “Solo una quota ridotta” della nostra recessione “può essere fatta risalire al meno favorevole ciclo internazionale”. Il resto è colpa delle manovre recessive del governo: da cui deriva che non c’è nessun pareggio di bilancio alle viste, per quanto corretto per il ciclo economico come dice il governo. Ecco la prosa gentile delle toghe contabili: “Quando indotta da misure di politica economica, la flessione dei livelli di attività assume natura discrezionale, laddove la depurazione dagli effetti ciclici dovrebbe, a rigore, applicarsi solo in presenza di perturbazioni aventi natura esogena e casuale”. Allora serve un’altra manovra? Per carità: “L’economia potrebbe difficilmente sostenerla”. Fortuna che c’è Draghi, allora. Macché: è sotto gli occhi di tutti “l’evidenza degli insufficienti risultati di questa strategia”. Come se ne esce? Con azioni per la crescita non a costo zero e diminuendo le tasse, ma significherebbe allentare i vincoli di bilanci, il che “non ci è consentito”.

Marco Palombi - 03 ottobre 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
.

0 commenti:

Posta un commento