giovedì 11 ottobre 2012

Cosche, massoni e catto-fascisti (di Antonio Massari)


APPALTI NEL MIRINO

Catanzaro
Avolte ritornano. Il suo nome è Andrea Fiaccabrino e ieri è stato perquisito, a Milano, per un’inchiesta dell’antimafia di Catanzaro. È stato lui – secondo gli investigatori – a ispirare una loggia massonica insediata a Roma e legata alle ’ndrine dei Tripodi e dei Mancuso.
E la massoneria, in questa vicenda, ha un ruolo fondamentale. L’obiettivo del clan è il solito: appalti pubblici. C’è però un uomo – nato a Messina e residente a Roma – che risulta in contatto sia con Fiaccabrino sia con la cosca e, di quest’inchiesta, sembra lo snodo fondamentale: si chiama Paolo Coraci.

Quasi calvo, capelli bianchi e occhiali, Paolo Coraci viene “ispirato” da Fiaccabrino nel fondare una loggia massonica. Ma fa anche di più: nel 2010 crea un movimento politico di stampo cattolico e schierato con il centrodestra, vicino all’Udc, questa volta ispirato a don Luigi Sturzo, che chiama “Liberi e Forti”. Organizza convegni e invita molti amministratori del Lazio, da sindaci a consiglieri regionali dell’Udc, mentre nel frattempo cerca di acquistare appartamenti dalla Fintecna, la società controllata dal ministero delle Finanze, specializzata nella dismissione di immobili pubblici. Ma Coraci – massone ispirato da Fiaccabrino e don Sturzo – non intende comparire nell’acquisto. Chiede una mano alla società Edil Sud – società riconducibile al clan Tripodi Mancuso di Vibo Valentia – alla quale promette, in cambio dell’acquisto fittizio, i lavori di ristrutturazione.

L’affare – da 16 milioni – non va in porto. Ma restano chiari, negli atti dell’indagine, i rapporti di Coraci – indagato per concorso in associazione mafiosa – con Fiaccabrino e con il clan. Ed è proprio questo, il cuore dell’inchiesta condotta dal pm Pierpaolo Bruni, che scavando tra i rapporti di Coraci con la ’ndrangheta, sta disegnando la mappa di un potere occulto finora inedito ma con salde radici nel passato. Fiaccabrino – che non è indagato – negli anni Novanta fu coinvolto nelle indagini della dda di Firenze per i suoi rapporti con Cosa Nostra: era legato al cosiddetto “autoparco della mafia” di Milano, un suk del traffico di eroina e cocaina, organizzato da un boss del calibro del catanese Nitto Santapaola e gestito in società, oltre che dai corleonesi, dai clan Madonia e Cursoti. Fiaccabrino – imprenditore massone ed esponente del Psdi – fu accusato d’essere era la cerniera della mafia con la pubblica amministrazione e il mondo politico.

Condannato in primo grado, poi assolto, Fiaccabrino è noto anche per aver poi aderito al movimento di ultra destra Guardia nazionale, di Gaetano Saya, nell’intento di formare le “guardie nere”. C’è un altro uomo che compare nell’indagine: Mario Festa, imprenditore – nato a Rovigo e residente a Roma – già risultato in contatto con Antonino Ciavarello, genero di Totò Riina, che gli aveva chiesto di sbrigare la pratica di un’amica all’ordine londinese degli avvocati. Festa – indagato per concorso in associazione mafiosa – è ritenuto il “procacciatore di affari a favore delle società riconducibili alla cosca anche attraverso la promozione di incontri tra i membri della cosca e appartenenti alle istituzioni”.

Il braccio finanziario del clan, però, è la società Edil Sud “riconducibile – secondo gli inquirenti – al capo della cosca Nicola Tripodi”. Ma non è l’unica società legata al clan, che “si avvale anche di O&s Costruzioni, Gec Srl, Effegi Costruzioni, Gruppo Nobis consorzio e Istituto finanziario energia Srl”, tutte operanti in Lombardia, “attraverso le quali persegue l’accaparramento di appalti pubblici e privati”. Affari che – stando all’accusa – sarebbero stati stretti sia in Lombardia, sia nel Lazio, oltre che in Calabria. Appalti che la procura sta verificando in queste ore, sbrogliando il mix che – dalla Sicilia alla Calabria, passando per Roma e Milano – lega le cosche vibonesi a vecchi e nuovi massoni, imprenditori romani capaci di tessere rapporti con gli “appartenenti alle istituzioni” e movimenti politici di area cattolica che, sotto l’insegna del motto sturziano “Liberi e Forti”, tenevano i contatti con prestanome della ’ndrangheta e amministratori locali.

Antonio Massari - 11 ottobre 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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