giovedì 27 settembre 2012

“Sono un primario, mi pagano per non lavorare” (di Rita Di Giovacchino)


Sprechi kafkiani

“Adesso me ne posso andare dall'Italia, la Polverini non c'è più, non ho neppure l'alibi di restare per non dargliela vinta. L'unica cosa che mi fa rabbia è che, con quello che personaggi come Fiorito spendevano per una cena, io potevo pagare un anno di stipendio ai due assistenti che se ne sono andati”. È una storia kafkiana di intoppi burocratici e
malagestione della Sanità, quella che racconta il professor Domenico Scopelliti. Calabrese, 51 anni, chirurgo di fama internazionale, esperto di maxillo facciale dell'ospedale Santo Spirito, 40 pagine di premi e riconoscimenti. Il suo reparto è distaccato a villa Betania, fino al settembre 2010 era un gioiellino. Ora il corridoio è vuoto e la camera operatoria chiusa.

Domenico Scopelliti
Di cosa si lamenta, professore, guadagna 5 mila euro al mese e a marzo l'hanno anche promosso capo dipartimento di chirurgia di tutta l'Asl di Roma?
Mi sento come Platinì quando è fermo in panchina. L'unica operazione che mi è consentita è timbrare il cartellino. Ho una lista di 750 pazienti, i casi più urgenti li opero gratis nei giorni liberi presso la Sanatrix, una clinica privata che mi mette a disposizione la sala operatoria e l'équipe. Mi pagano per non lavorare.

Dicono che lei sia andato a sbattere, come tanti altri, contro il decreto 80 del 2010, ovvero il piano tagli della Regione Lazio?
Esatto. Era il 30 settembre quando mi comunicano che il mio reparto presso il Santo Spirito veniva soppresso. Sono rimasto sorpreso, otto centri di maxillo facciale nel Lazio sono troppi, perché proprio il mio va soppresso? Non ho agganci politici, lo confesso. Si arriva alla scadenza di dicembre, scatta un rinvio di tre mesi. A marzo nessuno ancora sa niente, mi incontro con il direttore generale delle Risorse Luca Casertano, lui palleggia, mi rinvia al vice Magrini. Incontro anche il vicepresidente Ciocchetti, che con chiarezza cartesiana dice: non posso fare niente. Da marzo 2011 il reparto è chiuso.

Ma resta a Villa Betania, siamo a Piccolomini, tutta a Roma è ai suoi piedi.
Bellissimo. Nel frattempo ho perso due dei tre assistenti: uno nell'incertezza è andato all'estero, l'altro ha accettato al volo una proposta di assunzione in Umbria. Che potevo dire? Corro da una parte all'altra, mi incontro con i direttori sanitari, prima Massimo Martelli, poi Mario Braga. Gli incarichi ruotano vorticosamente. “Deve avere pazienza, bisogna che sia approvato il decreto sulla mobilità”, dicono. La giostra del ridicolo. Intanto chiedo l'aspettativa per inattività forzata. Faccio presente che al San Camillo ci sono due “primariati” vacanti. Il 7 luglio ricevo finalmente la lettera che mi assegna proprio al San Camillo dal 1 settembre. Ero felice, ma alle 18,45 del 31 agosto arriva il contrordine. Qualcuno mi dice non ho tessere in tasca, anzi mi circonda la fama di comunista perché ho operato la figlia di Marrazzo. È vero, Marrazzo chiuse il San Giacomo, anche quella fu una follia: erano stati appena investiti dieci milioni nelle attrezzature, era il miglior reparto oncologico d'Italia. Ma il giorno dopo almeno i trasferimenti sono stati attuati.

Mai stato neppure a una cena? I rapporti si gestiscono in modo informale, lo sa.
A una cena sono andato, un incontro elettorale con la Polverini, prima e ultima volta. Il clima era davvero informale, bestemmie, parolacce, qualcuno si soffiava rumorosamente il naso con il tovagliolo. Parliamo di altro. Per indorare la pillola mi dicono che bisogna rilanciare la maxillo facciale, occorre un progetto di eccellenza, devo presentare un piano per ricostituire il reparto all'interno del Santo Spirito. Non accade niente, a gennaio decido di autodenunciarmi al Tribunale del lavoro. Il giudice mi dà ragione, riconosce la responsabilità della Regione Lazio alla quale viene contestata una “condotta incostante e contradditoria”. Il giudice impone di ripristinare la situazione preesistente ovvero riattivare il reparto di Villa Betania.

Tutto risolto?
Macché. La direzione sanitaria non può assumere due nuovi assistenti per via del decreto 80, la decisione del giudice non può essere applicata, mi dicono. Intanto il Tribunale del lavoro manda tutto alla Corte dei Conti e in procura. Oggi mi hanno comunicato che se voglio tornare ad operare, in queste condizioni, posso smaltire il 75 per cento dei pazienti in lista. Lo facciano loro, non rischio la pelle della gente io.

Rita Di Giovacchino - 27 settembre 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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